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STEFENET | RICORDI DI STORIA LOCALE | IO RESTO A CASA

"Ho sentito parlare tante volte di un certo “Stefenet”.



Era poverissimo; viveva prestando qualche servizio a parecchie famiglie del Capoluogo, quando ne avevano bisogno.

Dicono che talvolta si industriasse a fare un po’ il “sansèr” (mediatore), ma non potevano far affidamento sulla sua parola. Per sua abitudine o regola, un giorno alla settimana, ma non si poteva sapere quale, non aveva voglia di lavorare e così, se qualcuno andava a chiamarlo per lavoro e battendo alla sua porta, gridava: « Stefenet!… Stefenet!...» egli rispondeva, dicendo: «Nò son qua!..., nò son qua!».

I più anziani del paese mi raccontavano che suo fratello fosse stato un “Cursore” (Cavaliere di Corte) in Municipio, prima di Giovanni Franceschini. Era anche lui un eccentrico e lo dimostrò specialmente alla sua morte, che avvenne per suicidio.

Essi raccontavano che era morto così: andò in Municipio come al solito; scrisse alcune righe sul cartoncino, poi borbottando discese nel sottoportico municipale (loda) e si avvicinò al pozzo. Poi guardò intorno; non vedendo alcuna persona, si levò il vestito, dicendo la frase che ripeteva spesso: «Sempre la stessa musica: despoìà e vestìsi (spogliati e vestiti), despoìà e vestìsi… l’è ora de finirla!». E si gettò nel pozzo.

Nella tasca della giacca dello Stefenet fu rinvenuto un biglietto nel quale era scritto: «il mio corpo giace nel pozzo.. pregate per la mia anima!».(Forse per questo suicidio e il tentativo di un altro, nell'estate del 1938, il pozzo venne, a colpi di mazza ferrata, distrutto e chiuso con una grossa pietra da Pietro Rolt, per ordine del Podestà di allora)."


Tratto da un articolo di "Nino" Sartori

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